La quarta rivoluzione industriale

L’Italia è un grande Paese industriale, il secondo in Europa per valore aggiunto manifatturiero e uno tra i principali al mondo. Le imprese industriali italiane rappresentano il motore del cambiamento e dello sviluppo economico, con la loro capacità di produrre innovazione, di stimolare il nostro export, di alimentare l’indotto e le attività dei servizi, contribuire alla creazione di occupazione e ricchezza, alla stabilità economico-finanziaria e alla coesione sociale.
Con l’avvento della cosiddetta quarta rivoluzione industriale, grazie alla diffusione di nuove tecnologie (digitali e non), il comparto industriale sta vivendo una profonda trasformazione dei meccanismi attraverso cui ha storicamente prodotto valore, innovazione e benessere.
Le rivoluzioni industriali hanno sempre comportato effetti evolutivi talora persino dirompenti sulla produttività. Schematizzando si può affermare che con la prima rivoluzione la tecnologia ha moltiplicato la forza: la produzione si sgancia dalla forza fisica, umana o animale. Con la seconda, la tecnologia moltiplica la scala: l’energia elettrica allarga le dimensioni dei mercati e mette a disposizione un’energia che può essere facilmente trasportata. La terza rivoluzione industriale si è avuta grazie a tecnologie che moltiplicano la velocità: le informazioni possono essere processate e gestite in modo più rapido. Ogni rivoluzione ha generato conseguenti cambiamenti organizzativi che, a loro volta, hanno determinato guadagni di efficienza e di ricchezza.
La quarta rivoluzione industriale, resa possibile dalla disponibilità di sensori e di connessioni a basso costo, si associa a un impiego sempre più pervasivo di dati e informazioni, di tecnologie computazionali e di analisi dei dati, di nuovi materiali, macchine, componenti e sistemi automatizzati, digitalizzati e connessi (internet of things and machines).
La quarta rivoluzione non investe solo il processo produttivo, la sua efficienza e produttività ma anche, grazie all’accresciuta capacità di interconnettere e far cooperare tutte le risorse produttive (asset fisici e persone, sia all’interno che all’esterno della fabbrica), e allo sfruttamento di un nuovo fattore produttivo ovvero i dati e le informazioni, sta trasformando il funzionamento di intere catene del valore, consentendo una crescente integrazione dell’impresa con le reti di fornitura e sub fornitura a monte e i clienti, intermedi e finali, a valle, abilitando infine una rivisitazione anche profonda dei modelli di business e degli approcci al mercato.
Le tecnologie abilitanti il paradigma 4.0 sono molteplici, sintetizzabili in tre ambiti:

  1. Disponibilità di dati digitali e analitica dei Big Data: l’elaborazione e l’analisi di quantità enormi di dati (big data) a costi sempre più bassi (sensoristica a basso costo e cloud computing) permette decisioni e previsioni migliori su produzione e consumi basate anche sull’utilizzo di strumenti di virtualizzazione del processo produttivo, prototipazione rapida e intelligenza artificiale;
  2. Robotica e automazione avanzata: nuove possibilità di interazione complessa uomo-macchina permettono una riduzione degli errori, dei tempi e dei costi e un miglioramento della sicurezza dei processi anche attraverso la nuova manifattura additiva;
  3. Connettività spinta: l’intera catena del valore è interconnessa attraverso dispositivi e sensoristica intelligente (internet of things) utilizzando reti di connessione di nuova generazione.

Le nuove tecnologie sono già in larga parte disponibili e presenti nelle imprese, ma attualmente la loro applicazione è ancora limitata e sporadica, essendo concentrata prevalentemente sul controllo di processo industriale destinato alla produzione massiva dei componenti (macchine a controllo numerico), integrato con la robotica solo in determinati ambienti, con applicazioni limitate alla ripetizione della stessa azione o mansione e al controllo in remoto dell’efficienza operativa dei macchinari.
Con la trasformazione in chiave 4.0 è invece possibile gestire vere e proprie reti che incorporano, integrano e mettono in comunicazione macchinari, impianti e strutture produttive, sistemi di logistica e magazzinaggio, canali di distribuzione. Attraverso la trasformazione digitale – e con il ricorso a sistemi di produzione cyber-fisici – i siti produttivi sono in grado di reagire più rapidamente, quasi in tempo reale, alle variazione della domanda, delle specifiche di prodotto, dei flussi di approvvigionamento delle materie prime ottimizzando i processi di trasformazione, riducendo gli errori e i difetti, migliorando il time to market e assicurando flessibilità, velocità e precisione.
Le ricadute in termini di recupero di produttività possono essere significative restituendo nuova competitività a settori produttivi e nicchie manifatturiere che diversamente avrebbero serie difficoltà nel competere con sistemi a basso costo del lavoro, consentendo persino fenomeni di re-shoring di produzioni un tempo delocalizzate.
Come detto, l’ambito di Industria 4.0 travalica la singola impresa così come travalica il singolo macchinario. L’innovazione 4.0 non sta nell’introdurre un macchinario all’avanguardia dal punto di vista tecnologico, ma nel sapere combinare diverse tecnologie e in tal modo integrare il sistema di fabbrica e le filiere produttive in modo da renderle un sistema integrato, connesso in cui macchine, persone e sistemi informativi collaborano fra loro per realizzare prodotti più intelligenti, servizi più intelligenti e ambienti di lavoro più intelligenti.
Non si tratta solo di costruire la “fabbrica intelligente”, ma vengono interconnesse intere catene del valore e filiere produttive, si crea così una forte integrazione delle catene di fornitura e subfornitura. Diventano centrali elementi che prima avevano un ruolo passivo, si modifica il ruolo del consumatore-utilizzatore: l’analisi dei bisogni individuali acquisisce rilevanza sempre maggiore, così come la capacità di soddisfare la domanda attraverso la mass customisation (personalizzazione di massa) dei prodotti. Diventa possibile variare la modalità di produzione coerentemente con le variazioni di domanda o di tipologia di prodotto, in una logica di modularità e ri-configurabilità continua. Si hanno impatti significativi in termini di sostenibilità, in particolare con riferimento agli aspetti legati alla sicurezza del posto di lavoro, all’ottimizzazione dei consumi delle risorse energetiche e non energetiche, a modelli di produzione di natura circolare per ridurre sfridi, scarti e rifiuti (produzioni a difettosità zero) e favorire il riciclo/riutilizzo dei materiali e delle materie prime seconde.
La digitalizzazione è un fenomeno che imprime una spinta ulteriore ai processi di trasformazione, non necessariamente in modo disruptive, ma certamente accelerandone i mutamenti evolutivi lungo alcune direttrici distintive:

  1. interconnessione: ossia la capacità del bene di scambiare informazioni con sistemi interni (ad es.: sistema gestionale, sistemi di pianificazione, sistemi di progettazione e sviluppo del prodotto) e/o esterni (es.: clienti, fornitori, partner nella progettazione e sviluppo collaborativo, altri siti di produzione, supply chain, ecc.) per mezzo di un collegamento basato su specifiche documentate, disponibili pubblicamente e internazionalmente riconosciute;
  2. virtualizzazione: una “copia virtuale” (digital twin) del sistema reale e/o dei suoi componenti è creata e aggiornata mediante i dati provenienti da opportuni sensori e per cui è possibile prevedere l’evoluzione del comportamento mediante simulazioni. La combinazione tra componenti fisici (impianti, macchine, ecc.) e digital twin dà origine al cosiddetto modello cyber-fisico che abilità modelli produttivi in cui si riducono i tempi e i costi del passaggio dalla fase di prototipazione a quella di produzione e dove il processo produttivo è in grado di essere simulato in ogni funzione e momento
  3. decentralizzazione: i vari componenti cyber-fisici che compongono l’impianto produttivo dispongono di opportune strategie (per esempio per correggere derive di processo) in maniera autonoma e rivedere il proprio comportamento in presenza di anomalie;
  4. interazione da remoto: i dispositivi sono accessibili da remoto in modo da poter rilevare dati sul funzionamento o introdurre correttivi. Esempi tipici di funzioni abilitate sono quelle del monitoraggio e della manutenzione a distanza;
  5. elaborazioni e reazioni real time: ossia la presenza di funzioni che permettano di raccogliere in tempo reale (cioè con campionature sufficientemente rapide da seguire le dinamiche caratteristiche dei relativi processi) i dati di processo e di intraprendere le relative azioni/elaborazioni.

I vantaggi della quarta rivoluzione industriale

L’adozione delle tecnologie digitali tipiche della quarta rivoluzione industriale consente alle catene del valore di cogliere una serie di vantaggi che garantiscono un aumento di produttività e competitività delle imprese.
Alcuni dei vantaggi più evidenti della quarta rivoluzione industriale possono sintetizzarsi in una maggiore:

  • Flessibilità attraverso la produzione di piccoli lotti ai costi della grande scala con importanti ricadute in termini di customizzazione;
  • Velocità dalla fase di prototipazione alla produzione in serie attraverso tecnologie innovative che riducono i tempi di set up e accelerano i tempi di go-to-market;
  • Produttività attraverso l’aumento della dinamica dei processi e una maggiore flessibilità operativa e di riconfigurazione dei sistemi, con conseguente riduzione di costi e sprechi, aumento della affidabilità dei sistemi produttivi e della qualità resa (riduzione di errori, difetti e fermi macchina);
  • Integrazione delle filiere e catene di fornitura e subfornitura attraverso miglioramenti nei sistemi di approvvigionamento e nella logistica, più efficiente gestione del magazzino e degli ordini, ottimizzazione dei rapporti con i fornitori, anche in una chiave di minore conflittualità in ecosistemi aperti e collaborativi;
  • Sicurezza attraverso una migliore interazione e agilità di interfaccia uomo-macchina che rende possibile una significativa riduzione di errori e infortuni, un miglioramento della sicurezza e dell’ergonomia del luogo di lavoro. Sistemi di produzione che supportano e assistono gli operatori nello svolgimento delle loro mansioni portano a una riduzione dello stress lavoro-correlato e al superamento di alcuni limiti in termini di disponibilità di personale già adeguatamente formato, di invecchiamento della forza lavoro, di integrazione di lavoratori con disabilità, ecc.;
  • Sostenibilità attraverso una riduzione dei consumi energetici e dell’uso di materie prime, delle emissioni, con conseguente riduzione dell’impatto ambientale sull’intero ciclo di vita del prodotto;
  • Innovazione di prodotto grazie alle nuove tecnologie digitali che rendono possibile rivisitare in chiave smart molti prodotti e rivedere i modelli di servizio e di approccio al mercato.

TECNOLOGIE A SUPPORTO DELLA TRASFORMAZIONE DIGITALE

Espressione che indica i recenti sviluppi nei dispositivi wearable e nelle nuove interfacce uomo/macchina, per l’acquisizione e la veicolazione di informazioni in formato vocale, visuale e tattile.

L’Advanced HMI include sistemi ormai consolidati come i display touch o gli scanner 3D per l’acquisizione dei gesti, come pure soluzioni più innovative e bidirezionali come i visori per la realtà aumentata a supporto di attività operative e training degli operatori.

Attraverso l’utilizzo di un display single o multi-touch è possibile gestire il funzionamento di un qualsiasi sistema, anche quelli più complessi. L’Advanced HMI permette quindi di gestire non solo processi di tipo industriale ma viene utilizzato nella gestione di qualsiasi ambito sociale.

Immagine correlata

Nota anche come stampa 3D, questa tecnologia è una rivoluzione rispetto ai processi produttivi tradizionali (asportazione o deformazione plastica di materiale) perché crea un oggetto “stampandolo” strato per strato.

L’Additive Manufacturing trova applicazione negli ambiti prototyping manufacturing (realizzazione diretta di prodotti vendibili), maintenance & repair (riparazione in modo additivo di particolari usurati o danneggiati) e tooling (realizzazione di stampi, gusci, conchiglie per stampaggi e formature).

Un’opportunità decisamente interessante, anche se a fronte delle eccezionali prestazioni di time to market e complessità dei prodotti realizzabili, rimangono limiti di lentezza del processo, prestazioni meccaniche e tutela della proprietà industriale.

Descrizione processo: Il processo di produzione additiva ha come input la realizzazione del modello 3D dell’oggetto (progettazione CAD), a cui segue un processo semi-automatico (svolto oramai da tutti i più diffusi software di progettazione) di conversione del file in formato STL, che prevede la scomposizione dell’oggetto in strati (layer) stampabili dalle stampanti 3D.

Infine, a valle del processo di stampa, sono generalmente necessarie attività di post-produzione e finitura, per ottenere adeguati livelli di finitura superficiale e proprietà meccaniche del manufatto realizzato.

Uno degli elementi peculiari di tutte le tecnologie di stampa 3D è la possibilità di realizzare, in un unico processo di stampa, oggetti che tradizionalmente sono realizzati in diversi componenti singoli, successivamente da assemblare.

Un’opportunità decisamente interessante, anche se a fronte delle eccezionali prestazioni di time to market e complessità dei prodotti realizzabili, rimangono limiti di lentezza del processo, prestazioni meccaniche e tutela della proprietà industriale.

Internet of things (IoT) è la rete di dispositivi fisici, veicoli, elettrodomestici e altri elementi incorporati con elettronica, software, sensori, attuatori e connettività che consente a queste cose di connettersi, raccogliere e scambiare dati.

L’IoT comporta l’estensione della connettività Internet oltre i dispositivi standard, come desktop, laptop, smartphone e tablet, a qualsiasi tipo di dispositivi fisici e oggetti quotidiani tradizionalmente stupidi o non abilitati a Internet. Integrati con la tecnologia, questi dispositivi possono comunicare e interagire su Internet e possono essere monitorati e controllati da remoto. Con l’arrivo di veicoli senza conducente, una branca dell’IoT, cioè Internet of Vehicles inizia a guadagnare più attenzione.

L’Internet of Things è una possibile evoluzione dell’uso della rete: gli oggetti (le “cose”) si rendono riconoscibili e acquisiscono intelligenza grazie al fatto di poter comunicare dati su sé stessi e accedere ad informazioni aggregate da parte di altri.

L’obiettivo dell’internet delle cose è far sì che il mondo elettronico tracci una mappa di quello reale, dando un’identità elettronica alle cose e ai luoghi dell’ambiente fisico. Gli oggetti e i luoghi muniti di etichette Identificazione a radio frequenza (RFID) o Codici QR comunicano informazioni in rete o a dispositivi mobili come i telefoni cellulari.

I campi di applicabilità sono molteplici: dalle applicazioni industriali (processi produttivi), alla logistica e all’infomobilità, fino all’efficienza energetica, all’assistenza remota e alla tutela ambientale.

I dispositivi appartenenti alla categoria IoT possono essere in grado di comunicare con uno o più device a seconda dei casi. Ci sono diversi tipi di connessione:

  • One-to-One:

consiste nella comunicazione diretta con un secondo device; è la funzionalità base e più semplice che un dispositivo IoT possa eseguire. É il caso di un’automobile che, dotata di strumenti di auto diagnostica, è in grado di inviare informazioni al computer del meccanico.

  • One-to-Many

Trasmissione dati più su larga scala nella quale c’è un centro che istruisce molti sensori riceventi, sulla base di informazioni che a sua volta aveva ricevuto da essi, ed elaborato in precedenza. Come la casa automobilistica Tesla la quale migliora l’efficienza delle proprie autovetture, già in circolazione, basandosi su dati rilevati dalle stesse.

  • Many-to-Many

È la forma più completa di IoT nella quale milioni di sensori comunicano con milioni di dispositivi creando una fitta rete di informazioni in grado di gestire autonomamente intere attività.

L’internet of Things è ormai una tecnologia presente in ogni settore così come si sta estendendo ad oggetti e luoghi reali. Basti pensare ad esempio in campo urbanistico in cui i lampioni possono essere dotati di sensori che segnalano se la lampada funziona oppure quei particolari sensori che servono a rilevare la qualità dell’aria segnalando l’informazione all’ente di riferimento. Le auto ricevono informazioni da remoto anche sui parcheggi disponibili, evitando inutili ricerche agli automobilisti.

Nell’ambito di sviluppo della domotica le applicazioni dell’IoT sono molteplici. È possibile ad esempio che l’automobile del padrone di casa, entrando dal cancello, invii agli elettrodomestici un segnale di attivazione, accendendo le luci nel box e avviando la cottura della cena nel microonde, oppure che la sveglia dello smartphone, suonando al mattino, attivi anche la macchina del caffè e il tostapane per la colazione. Interfacciandosi con il controllo del traffico, poi, la sveglia potrebbe decidere autonomamente di suonare un po’ prima in caso di traffico particolarmente intenso, di neve o di lavori in corso sul percorso abituale verso il lavoro. È innegabile che l’Internet of Things sarà in grado di cambiare in modo radicale la vita quotidiana di tutti, grazie ad oggetti sempre più intelligenti e in grado di prendere da soli molte decisioni.

I principali ambiti di applicazione dell’Internet of Things sono rappresentati da quei contesti nei quali ci sono “cose” che possono “parlare” e generare nuove informazioni come ad esempio:

  • Casa, smart home, domotica
  • Edifici intelligenti, smart building, bulding automation
  • Monitoraggio in ambito industriale, Robotica, Robotica collaborativa
  • Industria automobilistica, automotive, self driving car
  • Smart health, sanità, mondo biomedicale
  • Tutti gli ambiti della telemetria
  • Tutti gli ambiti della sorveglianza e della sicurezza
  • Smar city, smart mobility
  • Nuove forme di digital payment tramite oggetti
  • Smart agrifood, precision farming, sensori di fields
  • Zootecnia, wearable per animali

Il cloud computing è un metodo per la fornitura di servizi IT (Information Technology) in cui le risorse vengono recuperate da Internet tramite strumenti e applicazioni basati sul Web, al contrario di una connessione diretta a un server. Anziché conservare i file su un disco rigido proprietario o su un dispositivo di archiviazione locale, lo storage basato su cloud consente di salvarli su un database remoto. Finché un dispositivo elettronico ha accesso al web, ha accesso ai dati e ai programmi software per eseguirlo.

Si chiama cloud computing perché le informazioni a cui si accede si trovano in “the cloud” e non richiedono che un utente si trovi in un luogo specifico per accedervi. Questo tipo di sistema consente ai dipendenti di lavorare in remoto. Le aziende che forniscono servizi cloud consentono agli utenti di archiviare file e applicazioni su server remoti e quindi di accedere a tutti i dati tramite Internet.

Il fornitore non configura in maniera completa le risorse per l’utente ma gli vengono assegnate grazie a procedure automatizzate a partire da un insieme di risorse condivise. Quando l’utente rilascia la risorsa, essa viene similmente riconfigurata nello stato iniziale e rimessa a disposizione nel pool condiviso delle risorse, con altrettanta velocità ed economia per il fornitore.

La maggior parte dei servizi di Cloud Computing rientra in tre ampie categorie: infrastruttura distribuita come servizio (IaaS, Infrastructure as a Service), piattaforma distribuita come servizio (PaaS, Platform as a Service) e software come un servizio (SaaS, Software as a Service).

Si parla di stack di cloud computing, in quanto queste categorie sono basate una sull’altra.

  • IaaS

I servizi Cloud definiti IaaS (Infrastructure as a Service) riguardano in sostanza la fornitura di macchine virtuali e storage. È come avere un computer fisico integrabile e scalabile eliminando le preoccupazioni derivanti da guasti o da bisogni di aggiornamenti hardware. I servizi Cloud offerti in ottica IaaS sono i più flessibili.

  • PaaS

I servizi Cloud definiti PaaS (Platform as a Service) indicano la virtualizzazione di una piattaforma. In questo caso l’utente dovrà solamente sviluppare le applicazioni perché la creazione della piattaforma di sviluppo, come il database o la gestione del carico, vengono resi dal fornitore di servizi Cloud.

Un esempio di servizi PaaS può essere quello della classica piattaforma web (PHP, database MySQL, ecc.) configurati in ambiente cloud, altri esempi sono i servizi come Tomcat che offrono un servizio software per eseguire applicazioni web sviluppate in Java.

  • SaaS.

I servizi Cloud definiti SaaS (Software as a Service) mettono a disposizione un software che permette di eseguire alcune operazioni. Un servizio SaaS che viene utilizzato da molti quotidianamente è la posta elettronica, DropBox, Google drive ecc., che permettono di archiviare file in una piattaforma cloud.

Non tutti i Cloud sono uguali. Ci sono tre modalità diverse di distribuzione delle risorse di Cloud Computing: Cloud pubblico, Cloud privato e Cloud ibrido.

  • Cloud pubblico.

I Cloud pubblici sono di proprietà di un provider di servizi cloud di terze parti, che fornisce le risorse di calcolo, come server e risorse di archiviazione, tramite Internet. Microsoft Azure è un esempio di Cloud pubblico. Con un Cloud pubblico, hardware, software e altra infrastruttura di supporto sono tutti di proprietà del provider di servizi Cloud e gestiti da esso. Puoi accedere a questi servizi e gestire il tuo account usando un Web browser.

  • Cloud privato.

Un Cloud privato si riferisce alle risorse di Cloud computing usate esclusivamente da una singola azienda o organizzazione. Un Cloud privato può trovarsi fisicamente nel data center locale della società. Alcune società, inoltre, pagano provider di servizi di terze parti per ospitare il proprio Cloud privato. Un Cloud privato è un Cloud in cui servizi e infrastruttura sono gestiti in una rete privata.

  • Cloud ibrido

I Cloud ibridi combinano Cloud privato e pubblico, grazie a una tecnologia che consente la condivisione di dati e applicazioni tra i due tipi di Cloud. Consentendo lo spostamento di dati e applicazioni tra Cloud privato e pubblico, il Cloud ibrido offre alle aziende maggiore flessibilità e più opzioni di distribuzione.

Non esiste ancora una definizione rigorosa del termine big data. Nel 2011, Teradata afferma che “Un sistema di big data eccede/sorpassa/supera i sistemi hardware e software comunemente usati per catturare, gestire ed elaborare i dati in un lasso di tempo ragionevole per una comunità/popolazione di utenti anche massiva.” Un’ulteriore definizione di big data è stata data dal McKinsey Global Institute: “Un sistema di Big Data si riferisce a dataset la cui taglia/volume è talmente grande che eccede la capacità dei sistemi di database relazionali di catturare, immagazzinare, gestire ed analizzare”.

L’uso corrente del termine “big data” tende a fare riferimento all’utilizzo dell’analisi predittiva, dell’analisi del comportamento degli utenti o di altri metodi avanzati di analisi dei dati che estrapolano il valore dai dati e raramente a una determinata dimensione del set di dati. L’analisi dei set di dati può trovare nuove correlazioni con “tendenze del business spot, prevenzione delle malattie, Scienziati, dirigenti d’azienda, professionisti della medicina, della pubblicità e dei governi incontrano regolarmente difficoltà con grandi quantità di dati in settori quali ricerca su Internet, fintech, informatica urbana e informatica aziendale.

Gli insiemi di dati crescono rapidamente, in parte perché sono sempre più raccolti da dispositivi per l’Internet di cose come dispositivi mobili, antenna (telerilevamento), registri software, telecamere, microfoni, lettori di identificazione a radio frequenza (RFID) e reti di sensori wireless.

Una definizione del 2016 afferma che “I Big data rappresentano le risorse informative caratterizzate da un volume, una velocità e una varietà così elevati da richiedere tecnologie e metodi analitici specifici per la sua trasformazione in valore”. Inoltre, una nuova V, veridicità, viene aggiunta da alcune organizzazioni per descriverlo, revisionismo sfidato da alcune autorità del settore.

  • Volume: si riferisce alla quantità di dati (strutturati, non strutturati) generati ogni secondo. Tali dati sono generati da sorgenti eterogenee quali: sensori, log, eventi, email, social media e database tradizionali;
  • Varietà: si riferisce alla differente tipologia dei dati che vengono generati, collezionati ed utilizzati. Prima dell’epoca dei Big Data si tendeva a prendere in considerazione per le analisi principalmente dati strutturati e la loro manipolazione veniva eseguita mediante uso di database relazionali. Per avere analisi più accurate e più profonde, oggi è necessario prendere in considerazione anche dati non strutturati (ad esempio file di testo generati dalle macchine industriali o i log di web server o dei firewall) e semi strutturati (ad esempio atto notarile con frasi fisse e frasi variabili) oltre che quelli strutturati (ad esempio tabella di un database);
  • Velocità: si riferisce alla velocità con cui i nuovi dati vengono generati. Non solo la velocità come speed of generation ma anche la necessità che questi dati/informazioni arrivino real time al fine di effettuare analisi su di essi.

In aggiunta:

  • Veridicità: considerando la varietà dei dati sorgente (dati strutturati o non strutturati) e la velocità alla quale tali dati posso variare, è molto probabile che non si riesca a garantire la stessa qualità di dati in ingresso ai sistemi di analisi normalmente disponibile in processi di ETL tradizionali. È evidente che se i dati alla base delle analisi sono poco accurati, i risultati delle analisi non saranno migliori. Visto che su tali risultati possono essere basate delle decisioni, è fondamentale assegnare un indice di veridicità ai dati su cui si basano le analisi, in modo avere una misura dell’affidabilità;
  • Valore: si riferisce alla capacità di trasformare i dati in valore. Un progetto Big Data necessita di investimenti, anche importanti, per la raccolta granulare dei dati e la loro analisi. Prima di avviare un’iniziativa è importante valutare e documentare quale sia il valore effettivo portato al business.

Machine learning (ML) è lo studio di algoritmi e modelli matematici che i sistemi informatici utilizzano per migliorare progressivamente le loro prestazioni su un compito specifico. Gli algoritmi di apprendimento automatico costruiscono un modello matematico di dati campione, noti come “dati di addestramento”, per fare previsioni o decisioni senza essere programmati esplicitamente per eseguire l’attività. Quindi si tratta di scrivere dei programmi software che siano capaci di analizzare dei dati, sempre più spesso si tratta di analizzare grandissime quantità di dati, rintracciando al loro interno dei pattern ricorrenti in modo da estrarre automaticamente l’algoritmo necessario per completare il compito.

Come apprende un sistema? Un processo di apprendimento, identificabile come un compito di machine learning, può essere classificato secondo tre categorie principali che si differenziano in base al feedback che il sistema riceve durante il procedimento:

  • Apprendimento supervisionato: vengono presentati i dati di input e i risultati desiderati. Lo scopo è di apprendere una regola generale che colleghi i dati in ingresso con quelli in uscita;
  • Apprendimento non supervisionato: vengono presentati i dati di input ma nessun risultato desiderato. Lo scopo è quello di scoprire schemi o modelli nascosti nei dati presentati;
  • Apprendimento con rinforzo: vengono raccolti i dati di input tramite l’interazione con un ambiente dinamico; ad ogni azione in questo ambiente corrisponde una ricompensa (anche negativa) e l’obiettivo è quello di svolgere un determinato compito massimizzando il valore della ricompensa.

Esistono inoltre diversi approcci pratici per l’applicazione di algoritmi di machine learning con cui è possibile identificare un metodo di apprendimento; di seguito vengono indicati alcuni degli approcci principali:

  • Albero delle decisioni: utilizza un albero delle decisioni, ovvero un grafo ad albero, come modello predittivo per indicare delle decisioni e le loro possibili conseguenze;
  • Reti neurali artificiali: tramite una rete neurale artificiale si possono utilizzare algoritmi di apprendimento ispirati alla struttura di una rete neurale biologica. Le strutture sono formate da gruppi di neuroni artificiali interconnessi tra loro, utilizzati per la computazione. Per reti neurali artificiali multi-strato si parla anche di apprendimento approfondito (deep learning), rivelatosi efficace per applicazioni come riconoscimento vocale e computer vision;
  • Algoritmi genetici: ricerca euristica che simula il processo di selezione naturale in cui una popolazione di individui (candidati come soluzione ad un problema di ottimizzazione) viene evoluta per il raggiungimento della soluzione migliore. Tramite un processo iterativo, le proprietà della popolazione vengono modificate e mutate; ad ogni iterazione (chiamata generazione) viene calcolata la loro idoneità alla soluzione sulla base della funzione obiettivo del problema. Gli individui più idonei vengono poi scelti per costituire la popolazione di partenza per l’iterazione successiva;
  • Analisi dei gruppi (clustering): processo di raggruppamento di oggetti in modo che quelli inseriti nello stesso gruppo, chiamato appunto *cluster*, siano più simili tra loro rispetto a quelli in altri gruppi. Questo risultato è ottenibile con molteplici algoritmi che differiscono tra loro nella nozione di cosa costituisce un *cluster* e come identificarli in maniera efficiente;
  • Reti di Bayes: modello probabilistico che rappresenta un insieme di variabili casuali e le loro dipendenze condizionali tramite un grafo orientato aciclico, identificati rispettivamente come nodi e archi. Ad ogni nodo è inoltre associata una funzione di probabilità che riceve in input l’insieme dei valori delle variabili dei nodi genitore e restituisce in output la probabilità della variabile rappresentata;
  • Programmazione logica induttiva: approccio orientato all’apprendimento di regole tramite l’uso della programmazione logica. Data una rappresentazione della conoscenza di base e di un insieme di esempi, un sistema di questo tipo è in grado di derivare un programma logico che confermi tutti gli esempi positivi e nessuno di quelli negativi

Con il termine generico di wearable (indossabile) si intende qualsiasi oggetto elettronico che si può avere indosso e che svolge una o più funzioni di raccolta ed elaborazione di dati, ed esempio il controllo di parametri fisici o ambientali e la loro visualizzazione e memorizzazione nel tempo. l Wearable è uno sviluppo dell’IoT, attraverso cui le cose intelligenti le indossiamo. Non solo, quindi oggetti intelligenti per sistemi produttivi e per aiutarci nella vita quotidiana, ma oggi, anche oggetti che tendiamo a metterci addosso in diverse occasioni e che potenziano le capacità del nostro corpo e della nostra mente.

Esclusi gli smartphone, che sono per molti versi oggetti di wearable technology ma non sono percepiti come tali perché non sono “indossati”, i wearable più diffusi al momento sono i braccialetti fitness e gli smart watch.

La realtà aumentata è una tecnologia che, se volessimo definirla, si potrebbe dire che è la rappresentazione di una realtà alterata in cui, alla normale realtà percepita dai nostri sensi, vengono sovrapposte informazioni artificiali e virtuali. La realtà aumentata inizia a diventare di domino pubblico grazie ai Google Glass che, tramite un piccolo display posizionato sopra l’occhio, riempie il campo visivo di dati e informazioni sull’ambiente circostante di chi lo indossa. Ma concetto di AR, però, ancora prima di conquistare l’intero settore mobile, – quindi smartphone, laptop, tablet, occhiali e visori abbinati ad appositi software o applicazioni – muove i primi passi in ambiti molto più tecnici e specifici come quello militare, della ricerca scientifica e della medicina.

La realtà virtuale nasce dalla combinazione di dispositivi hardware e software che “collaborano” per creare uno spazio virtuale all’interno del quale l’utente può muoversi liberamente. L’accesso a questo mondo digitale è reso possibile dai visori VR e dagli accessori (non solo joypad, ma anche guanti, scarpe e altro) sviluppati appositamente per interagire e “vivere” all’interno della realtà virtuale. In questo modo si viene a creare un mondo simulato e tridimensionale che agli occhi (ma non solo) degli utenti appare come reale, per l’appunto. E proprio come accade nella realtà, l’ambiente virtuale/reale all’interno del quale ci si immerge, può essere esplorato in ogni singolo centimetro e in ogni direzione. All’utente sarà sufficiente voltare la testa per vedere cosa accade ai suoi lati o sollevarla verso l’alto per vedere la pioggia scendere sulla sua testa. Il visore, e i software che utilizza, terranno traccia dei movimenti della testa così da adattare prospettiva e visuale alla nostra posizione e offrire immagini realistiche.